top of page

Dibattito sui diritti naturali


Destra e sinistra sono casi di emiplagia intellettuale

Ortega y Gasset

Maurizio Colucci, gestore del blog “Il lume rinnovato”, mi ha dedicato una lunga e stimolante recensione, addirittura divisa in due parti e in paragrafi tematici (si può leggere qui: http://lumerinnovato.blogspot.com/2008/07/monopolio-di-stato-e-monopolio-privato.html#links ). Non so se meritassi tanta attenzione. In effetti, qualcuno, nei commenti, ha lamentato la immeritata pubblicità “a quel comunista” (che sarei io). Risvolti esilaranti a parte, dalla lettura del testo di Colucci, è facile capire come, in realtà, il mio lavoro sia stato lo spunto per una lunga dissertazione, a tratti – l’autore non me ne voglia - dal sapore scolastico, sul libertarismo; cosa utilissima, intendiamoci, e molto interessante anche, per chi fosse digiuno della materia. Pertanto ne consiglio la lettura integrale a molti.


Qui mi limiterò a riportare alcuni botta e risposta, ossia le mie contro-argomentazioni alle osservazioni critiche mossemi, sfrondate dal loro, pur gradevole, carico didascalico.


Legenda: precedute da LC le mie frasi che Colucci ha estrapolate da un mio scritto (ovviamente, preceduti da Maurizio Colucci i commenti di Colucci, precedute da Luigi Corvaglia le mie osservazioni).


1. Libertà, diritto e potere


LC <i> scindiamo liberalismo da "capitalismo"</i>


Maurizio Colucci

In altre parole vuoi scindere la libertà dalla libertà economica. A prima vista non mi sembra un'ottima idea. Si potrebbe sostenere che non esiste la libertà economica, ma solo "la libertà".


Luigi Corvaglia

No, non scindo i tipi di libertà. Scindo la concezione liberale da una pratica illiberale, cioè il capitalismo "as we know it", il capitalismo di stato, il monopolio innaturale.


LC <i> se indice relativo di libertà è la scelta (di oggetti, stili di vita </i>


Maurizio Colucci Una precisazione: per un libertario, la libertà non è la quantità di scelte o la quantità di opportunità di cui disponi, bensì è la condizione in cui tu non vieni aggredito _da_altri_; condizione in cui la tua persona e la tua proprietà legittima non subiscono l'aggressione o l'invasione di altre persone.

Per notare la differenza con l'altra definizione, basta notare che, secondo quest'ultima definizione, Robinson Crusoe su un'isola deserta è perfettamente libero. Anche se sta morendo di fame ed ha pochissime opportunità. Ad esempio, Robinson è perfettamente libero di andare sulla luna. (Sebbene non sia capace di farlo.)

Il caso vuole che questa definizione di libertà ("libertà negativa") si sia rivelata a posteriori l'unica compatibile con le scoperte scientifiche. Infatti, ciò che abbiamo scoperto sul funzionamento della mente sembra indicare che noi non siamo liberi dai nostri stessi processi mentali. Le nostre decisioni (il cosiddetto "arbitrio") sono il risultato finale di una _computazione_ che avviene nel nostro cervello, sulla quale non abbiamo controllo. Cioè, non siamo liberi di cambiare l'algoritmo con cui il cervello decide cosa fare. Non siamo liberi dalla nostra stessa mente. Come disse Einstein in forma succinta ma efficace, "non posso volere ciò che non voglio".

Nessuno è libero da se stesso. Siamo tutti soggetti a limiti mentali e fisici. Quindi l'unico significato della parola libertà che potrebbe avere senso è quello che definisce la libertà come assenza di coercizione da parte degli altri. Libertà dall'aggressione da parte di altre persone. Che è appunto la definizione libertaria.


Luigi Corvaglia

In effetti, avrei dovuto parlare di “benessere”, più che di libertà. Il benessere, secondo la definizione che ne fa Amartya Sen ha appunto a che fare con le opzioni di vita. Poi, guarda, sono d'accordo che la pratica del libertario deve porre, in un "ordine lessicale", prima la libertà "negativa" e poi quella "positiva. Però, l'esempio di Robinson è un boomerang. Tu ne fai esempio della fallacia della libertà positiva. A me sembra il classico esempio di uomo libero "negativamente", perchè assolutamente non oggetto di costrizione, libero come il disoccupato è libero dal fisco. E' esempio, non della fallacia - che questa è condizione comunque necessaria - ma della non sufficienza di questa libertà. Egli, infatti, manca totalmente di libertà positiva. La tua battuta sulla sua libertà di andare sulla luna è perfetta nel palesare questi limiti. Da ciò, però, non faccio assolutamente derivare la necessità di organismi sovrapersonali atti a produrre artificialmente strumenti di fruizione del mondo. Come dice Friedman, è vero che nel mondo perfetto non piove mai, però un ombrello non è una cattiva idea.

LC <i> Non credo nei "diritti naturali". </i> Maurizio Colucci Neanche io (per quel che vale.)

Però nota che, in un senso più debole, la dottrina del "diritto naturale" è banalmente vera. Il senso è il seguente. Lo studio della biologia, e in particolare della psicologia evoluzionistica, rivela che la selezione naturale ha letteralmente programmato i nostri cervelli, dotandoli di alcune regole morali di base; (regole piuttosto vaghe e generiche, come ad esempio "non utilizzare un tuo simile come mezzo non consenziente per uno scopo", o "è sbagliato aggredire un innocente". Per ulteriori dettagli vedi il libro "Menti Morali" di Marc Hauser.)


Luigi Corvaglia


Ti dò anch'io qualche indicazione bibliografica: qualunque saggio di Clastres o, se ti manca tempo, "Frammenti di antropologia anarchica" di Graeber. Questo giusto per sottolineare come la fiducia che tu hai nell'innatismo sia forse mal riposta. Mi spiego, sono uno psicologo evoluzionista, pertanto con me sfondi una porta aperta; proprio per questo, però, devo avvertire che solo la pigrizia intellettuale di una certa psicologia intuitiva può farci cadere nell'errore di separare istinti e ragione, biologia e cultura.

E solo il bypassaggio della legge di Hume (le descrizioni non sono prescrizioni) ci permette di passare dalla evidenziazione di una condizione di base (essere) all'imperativo (dover essere). Amiamo smoderatamente lo zucchero. Dovremmo forse farne scorpacciate? No, perchè se amiamo smodatamente lo zucchero, è perchè il nostro cervello non è tarato per regolarne l'uso. Lo zucchero non è "naturale". Di contro, è inscritta nella nostra evoluzione la tendenza dell'uomo alla poligamia. Ugualmente ubiquitaria è la spinta alla vendetta e lo schifo innanzi a persone del nostro stesso sesso intenti in atti sessuali. Lo stesso dicasi per la diffidenza nei confronti di chi è diverso etnicamente. Dovremmo fare scaturire da tutto ciò una serie di prescrizioni a cui dar veste di "diritto naturale"?

il fatto è che, intanto, le norme sono, come dici, "vaghe e generiche", tramandateci dal processo evolutivo in virtù proprio della loro semplicità. La semplicità è utile; permette di attuare dei servomeccanismi senza troppa mediazione e che hanno un'alta probabilità di giovare alla sopravvivenza della specie. Ma siamo sicuri che:


1. tali "norme" siano così rigide?

Direi di no. Infatti, non sono norme, sono giudizi. I giudizi sono solubili nella cultura. Per fortuna, come dimostrato dagli esempi sopra riportati.


2: siano così basilari, fondanti?

Messa come la butti giù tu, sembrerebbe che i comunisti, gli indiani d'America e le società astatali dell'Africa equatoriale (culture che non afferrano il concetto di proprietà) abbiano avuto un passato evolutivo differente dal nostro.


3: siano sempre così utili?

Anche la tendenza a ragionare per "euristiche", che sono delle scorciatoie mentali, è utile, ma molto rischiosa (il razzismo ne è uno dei frutti);

anche la reazione di "attacco-fuga" è innata, ma oggi, nelle mutate condizioni di civiltà, assolutamente controproducenti, perchè alla base di molte malattie fisiche.


Poi, bisogna fare molta attenzione quando si parla di "Verità" scientifiche e di incontrovertibile biologia. L'organizzazione degli alveari è stata spesso usata per dimostrare la "naturalità" della gerarchia.

Vorrei poi esprimere l'obiezione principale: dando per scontato che quanto dici sia "banalmente vero", i processi di "introspezione ingenua" fanno si che diamo per scontato l'accesso a questi programmi innati, che si riesca sempre a leggerli senza errori. Ma non è così. Pensa all'idea intuitiva della nostra necessità della "scarica" aggressiva o sessuale che tanto piaceva a Freud e, dopo di lui a Konrad Lorenz che, guarda caso era anche nazista. E' un'idea che non ha più corso in ambito scientifico da decenni. Eppure lo stile ideologico del naturalismo lorenziano ne ha fatto un esponente di quella ideologia tardo-romantica - quindi tutt'altro che scientifica - della "comunità popolare" che ha contribuito, proprio grazie ad asserzioni etologico-evoluzioniste, all'affermarsi del nazismo come pensiero diffuso, oltre che come regime politico.


Maurizio Colucci Insomma, gli umani alla nascita non sono una tabula-rasa, ma possiedono già alcune regole morali innate, pre-inserite nel cervello, pre-programmate. (Incidentalmente, una di queste regole sembra essere il rispetto dei diritti di proprietà: sembra che i bambini molto piccoli possiedano già il senso della proprietà.)


Luigi Corvaglia

io direi il senso del "possesso". Senso che ha la sua indubbia utilità. La proprietà, che del possesso è versione adulta e evoluta, può contenere elementi di utilità e di danno. Proudhon diceva che la proprietà privata è illegittima ma che lo è sempre meno della proprietà pubblica. Pertanto l'utilità della proprietà è nella difesa che essa ci fornisce contro pretese sovrapersonali. Capisci che il possesso del bambino e del selvaggio e la proprietà della società "adulta" svolgono funzioni ben differenti. Ma anche ammesso l'innato senso del possesso, cosa lo rende più degno dell'innata spinta all'infedeltà che contraddistingue tutti i primati a testicoli esterni? Perchè conservare questo bagaglio e dimenticare l'altro? Esclusivamente per le ricadute pratiche di ordine sociale. Utilità. Maurizio Colucci

Queste regole innate sono comunque molto generiche e possono essere "istanziate", o "specializzate", dalla cultura.


Luigi Corvaglia

appunto.


MC

Ad esempio, la regola può essere che "è sbagliato aggredire un tuo simile innocente", mentre la cultura può definire chi va considerato "tuo simile" (uno della tua religione, ogni essere umano, ogni essere umano maschio, tutti gli esseri senzienti compresi gli animali, ecc.).

Queste regole generiche, che per natura sono presenti nei nostri cervelli, si possono chiamare "diritto naturale". Quindi, in questo senso, e solo in questo senso, il diritto naturale esiste. (omissis)


Luigi Corvaglia

Non chiamerei ciò diritto naturale. La convergenza che tu giustamente segnali, mi pare più la spiegazione della funzionalità e della sovrapponibilità dei vari diritti consuetudinari. Il discorso che fai sulla "naturalità" del diritto è, in parte, condivisibile, ma questo ci porta solo alla conclusione che le norme scelte dal mercato - perchè i singoli attori le considereranno "utili"-, arriveranno in gran parte a coincidere con questo software. Siamo d'accordo. Ciò che contesto, invece, è la pretesa di estendere ad anelli successivi della catena di eventi che da tali concetti "self evident" origina la stessa naturalità e difendibilità, anche se dovessero confliggere con le stesse norme base. Questi sillogismi poco rigorosi non sono prodotti di algoritmi, bensì di "euristiche". Cose utili, in termini evolutivi, ma che possono causare grossi errori. Sono ciò a cui diamo il nome di "bias cognitivo". In definitiva, riprendendo Weber, si può ragionare in base ad un'etica dei principi o in base ad una dei risultati. La prima, pericolosissima, è alla base delle fedi e delle ideologie indimostrabili, insensibile ai risvolti pratici. Ad esempio, pretendere di proibire la RU486 o la contraccezione, fregandosene della fame e della mortalità infantile in Africa. L'altra etica è al riparo da ciò. E' chiaro, però, che i risultati verranno sempre giudicati in base a quegli assiomi innati che dicevamo.

Bene, il giusnaturalismo, più che riconoscimento dell'innatismo, mi pare una weberiana etica del principio.

Maurizio Colucci Le leggi dello stato sono espressione del _potere_, non del _diritto.


Luigi Corvaglia

Perfetto. Il potere non vuol dire che verrà utilizzato in modo "giusto". Direi che è vero il contrario. Però, il diritto come qualcosa che vive fuori in un altrove della "Ragion pura" non esiste.

Maurizio Colucci

Ma tutto questo non deve far esultare i giusnaturalisti, perché, sebbene il diritto naturale esista, per quanto ne so nessuno ha ancora dimostrato che _bisogna_ rispettarlo. (Anzi nessuno ha mai dimostrato alcuna proposizione contentente la parola "dovere".) Siamo perfettamente in grado di ignorare il diritto naturale; cioè di fare cose che percepiamo come ingiuste.


Luigi Corvaglia

Ecco. Si può anche uccidere Tizio, se utile. Si può rispettare la proprietà privata Si può anche espropriarla proprietà, laddove uno sentisse come self evident (il suo proprio "diritto naturale"?) che è un furto ;-)


LC

<i> C'è un che di mistico nel processo di transustanziazione della terra che, mescolandosi lockianamente al mio lavoro, diviene mia.</i>


Maurizio Colucci

E' vero, c'è un che di mistico. Ma, per quanto mistica, questa sembra essere la regola che l'evoluzione ha scritto nei cervelli. Ad esempio, un bambino di 6 anni dice "Questa conchiglia è mia, perché l'ho trovata io". Oppure "Questa macchinina è mia, perché me l'ha data lui". I bambini sono libertari innati, almeno sotto questo aspetto.


Luigi Corvaglia

Per Freud il bambino era un "perverso polimorfo". A parte questo, la mistica scritta nel nostro cervello non ci dice nulla circa la natura di questo "lavoro". A Rothbard, per esempio, sembra che basti recintare un terreno per farlo proprio. E orinare negli angoli?

Lasciando i paradossi, non si tiene conto né della vaghezza della definizione - la cui precisazione, ancora una volta, può avvenire solo tramite il consenso, cioè il mercato - né, per dirne una, della clausola lockiana.


LC <i> non esiste diritto se non riconosciuto.</i> Maurizio Colucci

Questo somiglia al positivismo giuridico,


Luigi Corvaglia

no.


Maurizio Colucci

dottrina che ha seri problemi, messi in luce dalla seguente domanda: Se la maggioranza smette di _riconoscere_ il diritto alla vita degli ebrei, improvvisamente gli ebrei non hanno più il diritto alla vita? Improvvisamente colui che li uccide non sta più ledendo alcun diritto?


Luigi Corvaglia

Intanto, io contesto - in linea teorica - a qualunque maggioranza il diritto di imporsi su qualunque minoranza. Il diritto, come dici, è una cosa, il potere, un'altra. Un vero sistema di mercato non porterebbe alla dittatura della maggioranza. Ma qui contraddici l'ipotesi di partenza, quella per cui il consenso si struttura sulla base di programmi condivisi e prodotti dall'evoluzione perché utili. Non esiste diritto consuetudinario che non contempli l'aggressione e l'omicidio come sanzionabili. In tal senso hai ragione, esiste un' etica "naturale". Ma se essa fosse così pressante come potrebbero darsi fenomeni talmente in antitesi a tale etica?


Maurizio Colucci

A me pare impossibile rispondere di sì. Questo dimostra , a mio avviso, che il diritto non è il risultato di una convenzione o del consenso; è un insieme di regole preesistente a qualunque convenzione (regole scritte dall'evoluzione nei cervelli della maggior parte della gente, mutazioni a parte).


Luigi Corvaglia

Pienamente d'accordo. Quella che l'evoluzione ha scritto è la tendenza a reagire con emozioni sgradevoli ad alcune azioni. Nessuna regola preesistente.


Maurizio Colucci

Il diritto è preesistente alla legge,


Luigi Corvaglia il diritto è la trasformazione in legge di un sistema di gradevolezza-spiacevolezza e di motivazioni all'azione la cui ubiquitaria diffusione nei sapiens sapiens è dovuta al fatto che sopravvive ciò che è più adatto (leggasi "utile").


LC <i> come diceva Stirner, la proprietà, più che un furto è "un dono", perché è l'acquiescenza degli altri che ci _permette_ di continuare a possedere.</i>

Maurizio Colucci

Mi pare che tu confonda il potere col diritto. L'acquiescenza degli altri ci dà al massimo il POTERE di continuare a possedere; ma non ci dà il DIRITTO di continuare a possedere.


Luigi Corvaglia

Io non confondo. Non so Stirner. Anzi, lo so. Stirner diceva che i diritti non esistono. Mi rendo conto che il diritto è il potere, non solo riconosciuto, ma "giusto" (in base a logiche dell'iperuranio o del software). Comunque, in termini pratici, è l'acquiescenza che ci dà il potere di gestire ciò che possediamo, mentre non c'è diritto giusto che non possa essere infranto dalla mancata acquiescenza.


LC

<i> è allora ovvio che tutti partecipano, attivamente o passivamente, a _definire_ i diritti vigenti in un dato momento e luogo;</i>

Maurizio Colucci

Ma, caro Luigi, il diritto non è qualcosa che tu puoi "definire", come fossi un giocattolaio che sta definendo le regole con cui devono muoversi i pupazzi. Infatti, qualunque cosa tu "definisca", se non è compatibile con le regole di giustizia che sono _già_ presenti nel mio cervello, io la percepirò come ingiusta.


Luigi Corvaglia

Ecco, vedi? La divaricazione è qui. Io non contesto che nel processo di definizione di ciò che è diritto si abbia un'alta convergenza su alcune pretese più sentite, solo non escludo che civiltà, culture, contingenze, opportunità permettano all'uomo odierno di non soggiacere rigidamente a quelle che tu descrivi come gabbie psichiche. In definitiva, io dico solo due cose:


1) Il processo oltre che biologico, è storico. Intendiamoci, i limiti servono appunto per poter creare sempre nuove strutture. Chomsky lo dice a proposito del linguaggio. Senza norme innate, non esiste libertà e creatività nelle lingue. Quindi, non dico che non esistano alcuni paletti morali inscritti, figuriamoci. Tengo barbose lezioni ai miei allievi proprio sui dilemmi morali e il disgusto "dumbfounded", cioè non spiegabile a parole perché insito naturalmente in noi. Dico solo che non sempre le reazioni innate continuano ad essere utili nelle mutate situazioni ambientali. L'orripilazione da paura , che permette al gatto di incutere timore, nell'uomo si chiama pelle d'oca;


2) Dai per scontato che, una volta definita la meta-moralità nelle sue grandi linee, sia semplice leggere la realtà tramite questo filtro.

Guarda che è proprio attraverso concezioni simili che i socialisti ritengono oggettivamente ingiusta l'aggressione del capitalista.

L'introspezione ingenua ci fa leggere come ovvie cose che per altri non lo sono. Se così non fosse, la terra sarebbe un regno di armonia. Ritengo che la voce con cui questi istinti (in realtà sono schemi d'azione) ci parlano sia talmente bassa da essere confusa nel frastuono delle contingenze moderne e che la lingua in cui si esprime sia più polisemantica dell'ebraico antico.

Ecco perchè, se tu riterrai ingiuste alcune delle mosse che io imporrò ai miei pupazzi, puoi star certo che altri troveranno ingiuste quelle che per te sono "naturali" (pensa sempre ai collettivisti). Ecco perchè TUTTO viene dal "mercato".


Maurizio Colucci

I diritti non possono essere "stabiliti" o "ridefiniti" da nessuno: sono regole immutabili programmate dall'evoluzione nel cervello (come "è sbagliato aggredire un innocente", ecc), che entro certi limiti possono essere specializzate dalla cultura. Il tuo consenso può darmi, al massimo, il _potere_ materiale di fare qualcosa, non il diritto di farla.


Luigi Corvaglia

Ok. Ma poi sei così sicuro di saper definire quando è aggredito un innocente? I concetti, nella loro rozzezza, sono ben chiari nel geroglifico bio-cognitivo e ben valutabili in una realtà semplificata. Ma solo in quella.

LC

<i> ma questo continuo ridisegnamento del mondo esce dall'ambito della sacralità per entrare in quello dell'utilità. La proprietà non è sacra, è, al più, utile. </i>

Maurizio Colucci

Questo "ridisegnamento" del mondo, che tu vedi come l'atto di definire i diritti, è una definizione dei _poteri_; cioè è la definizione di che cosa ciascuno di noi può fare senza essere aggredito. Per quanto riguarda l'utilitarismo: questa dottrina (che io una volta sostenevo con convinzione) ha evidenti problemi. Ad esempio, prendi lo scenario seguente: un medico ha 5 pazienti in punto di morte. Ognuno di essi, per vivere, ha bisogno di un organo differente. Il medico si accorge che in sala d'aspetto c'è una persona perfettamente sana. Se la uccidesse e prendesse i suoi organi, potrebbe salvare 5 vite. Cinque al prezzo di uno. Domanda: è giusto uccidere la persona per salvarne 5? Secondo la dottrina utilitaristica, la risposta sembrerebbe essere sì. Ne segue che non siamo utilitaristi. Evidentemente nel nostro cervello c'è una regola che non risponde ai criteri utilitaristici (lascio a te il compito di scoprire quale sia questa regola).


Luigi Corvaglia

Questo è proprio uno di quei dilemmi morali di cui parlo a lezione. Dimostra che possiamo essere utilitaristi (come nel caso del dilemma del treno che sta per investire persone, per cui riteniamo giusto deviare il treno su un ramo deviato anche se questo ucciderà un'altra persona che si trovava per caso su quel binario) e a volte kantiani (come nel caso che descrivi), benchè il calcolo sia sempre lo stesso (5 salvati ed un sacrificato). Questo ci dice che innata è la repulsione ad utilizzare la morte altrui per i nostri fini. Eppure, in una pandemia c'è gente che chiede di far morire gli anziani per produrre l'immunità di gregge. Non possiamo utilizzare le semplici regole inscritte dall'evoluzione e nate per un ambiente semplice e leggibile da un analfabeta per produrre regole valide sempre e a qualunque livello. Ciò detto, sono d'accordo con te! esiste un sentire comune profondo in termini morali e questo inevitabilmente deve riflettersi nelle norme a difesa dei diritti, ma non perché siano "naturali", ma perché è naturale il nostro disgusto quando le aspettative in accordo col nostro senso morale non vengono rispettate. Ma che ha tutto questo a che fare con la proprietà?



LC

<i> La proprietà non è sacra, è, al più, utile.</i>


Maurizio Colucci Noto che poni di frequente un'alternativa tra utilitarismo e "sacralità". Per te, o i diritti di proprietà sono giustificati dall'utilità, oppure sono "sacri".


Luigi Corvaglia

Si, ma non pongo le cose in termini così dualistici come sembra - e come, invece, spesso fanno i giusnaturalisti. Il mio è, semmai, un "monismo non neutrale". Ritengo che utile e naturale siano in gran parte coincidenti ma che, laddove si dovesse creare un conflitto fra il principio (l'intervento ben fatto) e il risultato (il paziente vivo), sia il secondo ad avere la precedenza.


Maurizio Colucci

Beh, io non vedo nulla di sacro o di mistico nel dire che le regole di funzionamento di una macchina sono fissate, e non si possono cambiare a piacimento. Io, in quanto macchina, non sono in grado di considerare "giusta" una cosa che ritengo ingiusta, indipendentemente da cosa la maggioranza ha stabilito che bisogna considerare giusto. E' al di là delle mie capacità così come stabilite dal mio programmatore (la selezione naturale). Questo non significa che per me il diritto sia qualcosa di "sacro". Significa solo che è una cosa che non posso cambiare, immutabile. Una cosa può essere immutabile senza essere sacra.


Luigi Corvaglia

Io, come macchina, non posso scegliere se volare o no. Non c'è nulla di sacro. Ciò è immutabile. Ma qual è il nostro margine di movimento in ambito morale e comportamentale? Io credo molto maggiori. Tolto l'omicidio, considerato sgradevole in ogni cultura, cosa rende immorale l'omosessualità? Una costruzione culturale! Mi togli il libero arbitrio che perfino l’eterno baffone mi ha dato!

LC <i> Gli anarco-capitalisti, con il loro giusnaturalismo (escludendo dal novero l'ottimo Friedman)


Maurizio Colucci Ehm, temo che Friedman non vada escluso, perché è dichiaratamente libertario e non utilitarista.


Luigi Corvaglia

Lo escludo perchè non giusnaturalista (anche se non propriamente utilitarista) e perchè "ottimo" (cioè meno semplicista), non perchè non libertario. LC <i> possono, sulla base di indimostrabili assiomi sulla sacralità di taluni diritti calati dal cielo</i> Maurizio Colucci

Ma tutti gli assiomi sono indimostrati. Se provi a dimostrarli, necessariamente li dimostri in termini di _altri_ assiomi, i quali resteranno a loro volta indimostrati. Quindi tutti noi abbiamo degli assiomi etici indimostrati –-- te compreso, immagino. E nessuno è in grado di dimostrare i propri assiomi (neppure gli utilitaristi, ammesso che esistano, sono in grado di farlo).


Luigi Corvaglia

Ok. Stavo solo ribadendo la non eccelsa razionalità della cosa quando i giusnaturalisti si atteggiano a padroni della Verità. Maurizio Colucci

Un esercizio interessante è fare introspezione su se stessi per scoprire quali siano i propri assiomi etici.


Luigi Corvaglia

Grazie del suggerimento, ma è già parte del mio lavoro di psicoterapeuta cognitivo.


LC

Fra gli esiti più grotteschi e paradossali di una logica simile c’è il fatto che, se un individuo riuscisse, con sistemi validi, a divenire proprietario di un intero paese in cui imponesse leggi liberticide e razziste, e chiudesse anche le frontiere agli immigrati, essendo il diritto di proprietà anche quello di disporne a piacimento, tale situazione potrebbe dirsi libertaria...

Maurizio Colucci Se intendi "proprietario della terra", allora è vero che potrebbe stabilire a piacimento le leggi: a casa propria ognuno è sovrano.


Luigi Corvaglia

Ecco. Questo è esattamente la dimostrazione di quanto dicevo circa le conseguenze estreme che originano da premesse indiscutibili come quelle giusnaturalistiche. Se la proprietà è giusta indipendentemente dal consenso, ne deriva che è giusta qualunque conseguenza che nasca da questa proprietà, anche se è palesemente in contraddizione con le premesse libertarie da cui si partiva. In teoria, e ragionando per iperboli, se un uomo rothbardiano divenisse lecitamente proprietario del pianeta terra, questi potrebbe a ragione far valere il proprio "Ius excludendi alios" imponendo la diaspora cosmica all'intera umanità. Non scherzo, la cosa è stata così espressa da un anarcocapitalista italiota. L'esempio è eccessivo? Lo sono anche le caricature dei nostri volti, ma è proprio così che si mettono in evidenza i nostri tratti più caratteristici e definienti. Ora, questo esito che fa discendere massima autorità da massima libertà cozza tremendamente proprio con quell'intuitività morale che prima mettevi in stretta relazione con il nostro patrimonio biopsicologico. A questo punto non si capisce quale sia la differenza, quanto a presupposti di legittimazione, rispetto allo Stato. E' la stessa cosa. Ma se non c'è distinzione sostanziale alcuna fra il potere sovrano del proprietario e quello dello Stato, è chiaro che l'ortodossia rothbardiana si incarta.


Maurizio Colucci

Chi non apprezzasse le sue leggi sarebbe libero di andare a vivere altrove, dove le condizioni di vita sono migliori. I proprietari delle terre confinanti, infatti, farebbero a gara per convincere le persone a migrare nel loro territorio, offrendo loro condizioni di vita più vantaggiose. In tal caso nessuno avrebbe più rapporti con il proprietario in questione, che dovrebbe cambiare atteggiamento oppure perderebbe la sua enorme proprietà più rapidamente di quanto l'ha acquisita.


Luigi Corvaglia

Si. Per quanto porti avanti principi "panarchici" più che federalistici, concordo - a grandi linee - con questa concezione e conosco Hoppe. Del resto, il principio federativo di Proudhon muove da motivazioni simili. Però, ciò è sicuramente valido per piccoli stati, quali Monaco, Andorra, San Marino (i quali sono tali proprio perché esistono i Grandi Stati nazionali). Lo stile con cui , però, si intende mantenere questa condizione di polverizzazione amministrativa, porta a rendere ancora una volta evidente l'incartamento di cui sopra quando gli ortodossi rothbardiani dichiarano di preferire sempre gli stati piccoli anche se illiberali, anche se le loro leggi discriminano omosessuali, gruppi etnici specifici o tossicodipendenti, anche se lo Stato madre da cui si intende secedere fosse più liberale. I nostri paleo-padanisti ne sono chiaro esempio. Maurizio Colucci

In ogni modo, è un’ipotesi molto irrealistica che qualcuno possa diventare “proprietario di un intero paese” senza fare uso di violenza. (Anzi, ironicamente, la tua è un’ottima descrizione dello Stato.)


Luigi Corvaglia

infatti, è un'ottima descrizione dello stato......


Maurizio Colucci

Chiediamoci che cosa davvero ciò significhi. Se davvero uno riesce a estendere molto le sue proprietà con mezzi legittimi, cioè senza usare la violenza, significa che ha soddisfatto molto bene le esigenze dei cittadini; che ha fatto del bene alla gente. Ma può conservare la sua posizione solo fino a che continua a far ciò. (Ricorda quanto detto prima sul monopolio in un regime di libero mercato: tale monopolio può esistere solo finché offre un buon servizio a prezzi bassi).


Luigi Corvaglia

Cioè, fino a che continua ad avere il consenso!

Maurizio Colucci Quindi costui, smettendo di soddisfare le esigenze dei cittadini come ha fatto finora, perderebbe la sua posizione e la sua proprietà molto più rapidamente di quanto l'ha acquisita.


Luigi Corvaglia

Ti consiglio di allontanarti un po' dagli autori yankee e cominciare a leggere i nostri paleo-secessionisti per constatare come queste considerazioni di buon senso - che condivido e che danno liceità alla ribellione degli scontenti - siano considerate deviazioni eretico-socialiste.


Maurizio Colucci

A meno che, per conservare la sua posizione, non decidesse improvvisamente di cominciare a usare la violenza, nel qual caso diventerebbe uno Stato.


Luigi Corvaglia

Infatti. Il proprietario padano-rothbardiano ha, in quell'incubo distopico, pieno potere sul territorio che controlla, quindi anche sulle persone che lo occupano, con la sola esclusione della pena di morte.

Maurizio Colucci

Continui poi:


LC

Si ha, insomma, la netta sensazione che, più che tutelare il dinamico ed autopoietico mercato, si finisca per difendere la statica proprietà,


Maurizio Colucci Mi viene da chiedere: la tua proprietà come l’hai ottenuta? Probabilmente rendendo un servizio agli altri. (Oppure usando la violenza).


Luigi Corvaglia

Guarda che non intendevo dire che la proprietà è brutta e il mercato è bello (come si fa il mercato senza la proprietà?). Dicevo solo che ogni cosa ha più di una faccia. La proprietà può essere difensiva o offensiva, ad esempio. Noto, allora, che alcuni non apprezzano le cose che io apprezzo per gli stessi motivi per cui lo faccio io.


LC

Credo che la difesa di diritti naturali non possa fare a meno dello stato.


Maurizio Colucci In pratica stai dicendo che un monopolio forzoso può tutelare i diritti delle persone meglio di agenzie private in concorrenza tra loro. Detto così suona meno convincente.


Luigi Corvaglia

No. Qui hai frainteso. Intendevo dire che trovo piuttosto ottimistica la concezione anarcocapitalista classica. Ad ogni modo, se i diritti da tutelare fossero realmente quelli "naturali" da te individuati, avrebbe senso l'affermazione che solo lo Stato li potrebbe tutelare. Nota al riguardo, Davide Fidone, al quale ho fatto leggere lo scambio: Agenzie private in concorrenza fra loro tutelerebbero meglio dello stato i diritti che i propri clienti chiederebbero loro di tutelare. Ma i diritti che le persone vogliono tutelare non devono per forza coincidere con i "diritti naturali", ovvero con la morale comune. Una cosa è la morale comune, una cosa la volontà individuale. A parte il fatto che i diritti individuali dei giusnaturalisti non è detto che coincidano con la morale comune e che uno può anche avere una morale differente dal comune, ma anche trascurando questo, se uno ritiene una cosa moralmente sbagliata (ovvero "contraria al diritto naturale") non è detto che non la desideri e che non richieda alla propria agenzia di protezione la tutela del proprio desiderio anche se considerato moralmente ingiusto. In altre parole, le agenzie di protezione in concorrenza fra loro tutelerebbero i diritti desiderati dai propri clienti, non i diritti naturali intesi come morale comune. Solo uno stato, ed in particolare uno "stato etico", può tutelare in modo assoluto quella che viene considerata la morale comune, perchè solo il monopolio della forza è capace di schiacciare le volontà egoistiche antimorali. Ecco perchè l'affermazione che il diritto naturale potrebbe trovare piena ed assoluta applicazione solo in uno stato è vera.


Credo che qui Davide abbia centrato in pieno! LC

Nel nostro esempio precedente, ad esempio, il proprietario avrebbe potuto mantenere il suo ruolo di dittatore, solo facendo intervenire la soldataglia del paese a massacrare gli insorti,


Maurizio Colucci Non capisco: tu stai descrivendo una dittatura, non il libertarismo. E non vedo in che modo questo supporti la tua tesi che lo stato sia necessario per difendere i diritti.


Luigi Corvaglia

Non supporto affatto questa tesi. Lo Stato è l'affossatore di ogni pretesa (di diritto). Ho detto che i supposti diritti naturali non si difendono da sé, pertanto, il proprietario (piccolo Stato) rischia di comportarsi come lo Stato (grande proprietario).


Ti cito un pezzo, secondo me sensato, di Fabio Nicosia:


Immaginiamo che quattro proprietari rothbardiani abbiano ognuno un vertice in comune con l'altro, in modo da disegnare un quadrato completamente intercluso, che costituisca res nullius. Immaginiamo ancora che un paracadutista atterri in quel quadrato. In base alla teoria rothbardiana della proprietà, i quattro proprietari circostanti non hanno alcun obbligo nei confronti del paracadutista: nessuno, per Rothbard, può essere obbligato a un facere e omettere è sempre lecito (ad esempio, la madre che lascia morire di fame il proprio figlio esercita un proprio diritto naturale). D'altra parte, vien sottolineato, il primo carattere della proprietà è la facoltà di esclusione (ius excludendi alios), sicchè il proprietario che lascia morire il paracadutista esercita un proprio diritto anche sotto tale profilo. Per contro, magra consolazione, il paracadutista diviene proprietario della res nullius da lui stesso occupata: la proprietà come gabbia nella quale gli altri ti rinchiudono. Se non ci piacciono le gabbie, c'è qualche cosa che non va in tale teoria, ed è il suo assolutismo e unilateralismo: si diviene proprietario legittimo indipendentemente dalle condizioni degli altri: ogni proprietario è autocertificato, e cionullameno il suo diritto di proprietà si impone sugli altri, costituendo unilateralmente in loro capo obblighi giuridici, che essi debbono rispettare pena sanzione, indipendentemente da qualunque consenso o considerazione di utilità: esattamente come nelle più vecchie dottrine giuridiche imperativiste. Esattamente come queste, del resto, la dottrina rothbardiana giustifica l'assolutismo del sovrano (in veste di proprietario) con formule di legittimazione sovrannaturali, nel nostro caso sulla "natura" e sul "lavoro", o meglio sul preteso diritto naturale, che deriverebbe da un bruto atto di occupazione originaria. Tutto ciò è molto new age, ma non sembra in grado di fondare una teoria della libertà, quanto piuttosto una del fondamento legittimo del potere e del comando.


2. Lo sfruttamento


Maurizio Colucci Dici:


LC

Credo che lo sfruttamento esista. Secondo gli anarco-capitalisti il concetto di sfruttamento non ha senso.

Maurizio Colucci Affinché io ti sfrutti, non basta che io tragga beneficio; è necessario che io ti stia costringendo con la forza, o minacciando di usare la forza.


Luigi Corvaglia

Concordo con la definizione.


Maurizio Colucci

Se invece tu hai accettato la transazione libero da coercizione, allora entrambi traiamo un beneficio. Se vogliamo chiamarlo sfruttamento, allora ci stiamo sfruttando a vicenda.


Luigi Corvaglia

Certo. Io e la mia bella facciamo sesso ed ognuno "sfrutta" l'altro. Io non faccio sesso con le altre e, pertanto, le sto "discriminando". Non è a questa concezione di sfruttamento o di discriminazione che mi riferisco quando critico la deriva destroide del libertarianianism "polenta e osei".

LC Infatti, secondo la logica delle “preferenze dimostrate”, un operaio che accetta una paga misera preferisce, dimostrandolo con atto concludente, tale paga a nessuna paga. Certo. La cosa non tiene conto che, oltre all’offerente ed all’accettante, esiste un terzo elemento, definito bisogno, che fa si da rendere preferibile e dimostrata la scelta accettante, ma il bisogno non è stato, a sua volta interrogato.


Maurizio Colucci Il bisogno non è stato interrogato? Non capisco. Come si fa a interrogare un bisogno?


Luigi Corvaglia

Forma "poetica" per dire che il contratto non è a due, bensì a tre. Forma dolce per esprimere il concetto che talvolta si può essere "costretti con la forza" anche quando ciò non sembra avvenire.

Per me lo sfruttamento in senso “forte” è quando chi detiene il potere si sforza per mantenere la controparte, o meglio, la popolazione di potenziali controparti, in condizioni di ridotto potere contrattuale. Pertanto, non ritengo che ogni situazione sbilanciata configuri sfruttamento, se realmente tutti ci guadagnano (somma diversa da zero).

Ho poi un’ idea “debole” di sfruttamento che può realizzarsi anche nelle singole contrattazioni, qualora la violenza sia presente nella forma del ricatto – anche se Block arriva a difendere anche il ricatto… - e, pertanto, non osservabile dall'esterno. Francamente, non capisco come si possa fare riferimento all’intuitività per spiegare la naturalità di ogni giudizio morale e non tener conto della analoga immediatezza del quasi unanime consenso al concetto di sfruttamento. Se tale intuitività non serve a definire un criterio di giustizia, francamente non so perché similari compulsioni giudiziali debbano invece assurgere a regole auree e non discutibili in altri ambiti.

Detto ciò, però, ritengo tale forma debole ineliminabile e la libera contrattazione sempre preferibile a qualunque imposizione esogena di condizioni di contrattazione, perché, proibirla sarebbe svantaggioso per tutti.


Maurizio Colucci

Comunque, il bisogno non ti conferisce dei diritti aggiuntivi. Ad esempio, se io sto morendo di fame, e per sopravvivere scassino la tua casa e rubo un televisore, devo comunque rifonderti il danno. Non posso cavarmela dicendo “ma io avevo molto bisogno di entrare in casa tua”. Mi pare intuitivo.


Luigi Corvaglia Tendi ad universalizzare le tue intuizioni. Conosco moltissime persone che trovano intuitive le cose in modo opposto a come le vedi tu.

3. Il conservatorismo culturale dei libertari


LC

La predominante cultura anarco-capitalista è conservatrice. ... Non si capisce per quale motivo ... questi autori si lanciano in, per me inammissibili, tirate filo-cattoliche preconciliari, anti-evoluzionistiche, teo-con e contrarie ad ogni forma di laicità.

Maurizio Colucci Nella mia esperienza, la maggioranza dei libertari sembra essere atea.


Luigi Corvaglia

Nella mia esperienza, la maggioranza dei libertari è cattolica integralista. Mi dici L’antievoluzionismo c’è, ma è una corrente di minoranza, per quanto ne so. Allora, sai male. Ti invito nuovamente a staccare lo sguardo dagli USA e rivolgerlo ai nostri lidi. Leggi i forum, maschilisti, integralisti e “vandeani“. Ci troverai sempre i vezzeggiati libertari “de noantri”. Ho perfino trovato un sito di ispirazione cattolico-libertaria con un logo con tanto di cuore immacolato e due fucili incrociati!!

La più rinomata libreria anarcocapitalista, gestita dal buon Piombini, persona peraltro civilissima, è la "Libreria del Ponte" di Bologna ( http://www.libreriadelponte.com/ ). Ci troverai, oltre alla pagina "antidarwinismo", che raccoglie tutti i testi antievoluzionistici che qui si possono ordinare, anche una scelta di articoli di tutto il think tank anarcocapitalista italiano (cioè, padano), per lo più a carattere anti-islamista, preconciliare, anti-abortista, anti-femminista. Ci trovi anche la pubblicità a PEPE, rivista "cattolico libertaria" e alla rivista para-leghista "Enclave". Questi articoli sono anche ripresi da siti fondamentalisti cristiani come "Kattoliko".

In definitiva, tutto Il "Movimento Libertario" italiano (http://www.movimentolibertario.it/home.php ) , che si riunisce intorno all'editore Facco, che pubblica la rivista Enclave' è un coacervo di teo-cons.


Maurizio Colucci

Il clericalismo c’è. Forse dal loro punto di vista ha più senso, visto che negli USA le confessioni religiose, per quanto ne so, non ricevono fondi pubblici e sono davvero associazioni volontarie; e quindi forse le considerano ottimi alleati contro lo Stato: più potere alle confessioni significa più potere a un’associazione volontaria, quindi meno potere allo Stato.


Luigi Corvaglia

L'idea che la Chiesa, in Italia, sia un contraltare allo stato è bislacca. La Chiesa è la concorrente, perché vuole farsi Stato.


Maurizio Colucci

Un piccolo test di personalità: cosa rispondete alla domanda “Qual è l’organizzazione criminale più grande? la Chiesa o lo Stato?”. Io mi unirei ai libertari nel rispondere “lo Stato”. Sono forse clericale per questo? Spero di no. :)


Luigi Corvaglia

La partita non è così scontata. Ci mettiamo "X" ?



Post correlati

Mostra tutti

Comments

Rated 0 out of 5 stars.
No ratings yet

Add a rating
bottom of page